Intervista a Federico Frattini, Professore ordinario di Strategic Management and Innovation del
Politecnico di Milano e Dean di POLIMI Graduate School of Management
Le aziende sono organizzazioni in continuo cambiamento, soggette alle grandi trasformazioni sociali e tecnologiche dei tempi che corrono. A partire dalla sostenibilità – nella sua accezione più ampia. Oggi si parla molto di deep purpose, di quello scopo trainante le attività delle aziende. Ma di cosa parliamo precisamente?
“Da circa 20 anni nel mondo delle imprese ci si occupa di sostenibilità come risposta alla presa di consapevolezza delle esternalità negative della ricerca di massimizzazione del profitto come unico e ultimo scopo di un’impresa for profit. Tuttavia in questi 20 anni la sostenibilità è stata prevalentemente concepita come un qualcosa di distaccato dal core business e dalla strategia competitiva di un’impresa; più di recente invece ci si è interrogati se tale approccio alla sostenibilità nelle imprese for profit fosse in grado di generare un impatto positivo significativo tramite le attività d’impresa.
In questi anni passati, le attività orientate alla sostenibilità si sono basate su un approccio di mitigazione del rischio: ci si occupa di sostenibilità misurando l’impatto delle attività dell’azienda, perché se non lo viene fatto si può incorrere in situazioni spiacevoli che impediscono di massimizzare i profitti per gli azionisti nel medio-lungo periodo, che rimane l’unica preoccupazione. Di conse- guenza questo approccio alla sostenibilità possiamo dire che è stato strumentale al tentativo di massimizzare il valore per gli azionisti, applicando una strategia di sostenibilità al servizio della capacità di creare valore per gli azionisti. Un approccio alla sostenibilità in ottica di compliance, quindi raggiungere il livello minimo per ottenere certificazioni e fare delle azioni per migliorare secondo le raccomandazioni che le istituzioni forniscono, senza spingersi oltre.
Ultimamente è invece cresciuta la pressione verso le imprese affinché riescano a darsi uno scopo, un significato più profondo delle loro azioni, che vada oltre la semplice massimizzazione del profitto e che concepisca la ricerca del profitto come una leva per avere un impatto sui propri stakeholder. Ci deve essere spazio per concepire l’esistenza di imprese for profit che si danno come scopo ultimo del loro agire quello di contribuire a migliorare le condizioni di vita delle comunità e dell’ambiente in cui operano grazie ai propri prodotti, servizi e offerte di valore.
Questo è il concetto di deep purpose, che si associa a quelli di conscious capitalism o stakeholder capitalism. Secondo questo principio, le imprese for profit possono e si dovrebbero dotare di uno scopo che vada oltre il profit- to e che questo sia una conseguenza della ricerca di un impatto positivo e che veda nei propri servizi, prodotti, tecnologie e strategie il mezzo per ar- rivare a generare tale impatto.”
Ma le imprese con un deep purpose funzionano veramente meglio?
“Ormai esistono tanti dati empirici, oltre a casi aneddotici, che mostrano che le imprese che davvero si dotano di questo deep purpose funzionano anche meglio delle altre nella loro capacità di creare valore per gli azionisti. E i motivi sono molteplici. Primo, un deep purpose offre una piattaforma di senso e di motivazione incredibile per i dipendenti, specialmente per i più giovani. Un’impresa che si dà lo scopo di generare un impatto positivo per gli altri ha una employee motivation, retention e well-being significativamente più alti di chi invece non si dota di questo scopo aspirazionale. E questo è ancora più sentito nelle nuove generazioni. La Generazione Z (che rappresenta i nati tra il 1996 e il 2012) al 2030 sarà il 27% della total workforce; queste persone sono disposte a rinunciare a parte della loro compen- sazione monetaria, del loro stipendio e della posizione gerarchica in impresa pur di lavorare in aziende che si impegnano in qualcosa in cui loro credono.
Secondo, i clienti sono molto più interessati ai prodotti e servizi di imprese che si dotano di un deep purpose. Ci sono ricerche che mostrano che nei mercati B2C (meno nel B2B) i clienti comprano più favorevolmente da imprese che si danno degli scopi, si assumono impegni che risuonano con ciò in cui essi stessi credono. Sempre più dall’opinione pubblica c’è una richiesta verso le imprese for profit di diventare veramente agenti di un cambiamento positivo nella società.
Richiesta che viene anche da parte degli azionisti, più inclini a investire e supportare la crescita di imprese che chiaramente si danno questo scopo. Nel medio-lungo periodo le imprese che produrranno più valore anche per i propri azionisti saranno quelle che si danno un deep purpose calandolo all’interno del modo in cui lavorano e delle loro decisioni. Il deep purpose non è uno slogan, non sostituisce vision e mission. È invece un principio organizzativo unificante, è qualcosa a cui allineare la strategia, l’allocazione dei budget, il marketing, il brand, la comunicazione, la misurazione delle performance delle persone, i KPI, i modelli di leadership, etc.”
Ora anche le aziende B2B si stanno muovendo in questa direzione però. Pensiamo alle crescenti richieste di trasparenza e sostenibilità lungo tutta la catena del valore e di approvvigionamento.
“Questo avviene come conseguenza del vecchio concetto di sostenibilità 1.0, quello legato alla CSR e alle certificazioni. Un’impresa che si dà un deep purpose invece lavora con i propri fornitori, con chi sta a monte e a valle della loro catena, allineati al proprio scopo, più ampio e universale, che permetta la sopravvivenza di ogni anello della catena in armonia con la natura senza sacrificare le risorse umane.”
Questo implica, certamente, trasformazioni radicali a livello organizzativo. Quali?
“Tutte queste trasformazioni per le aziende che già esistono o questo fenomeno per le aziende che nascono nativamente dotate di un purpose, passa dal vertice. Non sono trasformazioni, fenomeni, che, come in altri ambiti del management, possono prendere impulso e svilupparsi dal basso o da determinate aree dell’organizzazione. Quindi la prima caratteristica di un’impresa che si dà questo scopo espansivo che va oltre il profitto è quello di avere una leadership capace di fare proprio il messaggio e di calarlo dall’alto verso il basso su tutta l’organizzazione.
Come? Abbiamo individuato quattro aree di intervento. Prima viene la leadership, poi la strategia, poi le persone e, infine, il branding e la comunicazione, ovvero le attività con cui proiettare verso l’esterno i valori dell’impresa. Vediamoli meglio.
La prima area di intervento per trasformarsi o nascere come un’impresa purpose driven è quella di avere una leadership capace di lavorare su queste dimensioni. Una leadership più umana, che capisce che oggi le imprese non sono più concepite come un macchinario infernale che processa degli input e produce degli output misurati con dei KPI, ma sono prima di tutto insiemi di persone, di valori e di esperienze individuali.
Questa è la leadership umana il cui ruolo è quello di plasmare la cultura delle persone con cui si lavora e di offrire loro una piattaforma di significato, di ascoltarle e quindi interconnettere il purpose individuale con quello dell’impresa nel suo complesso. La vera sfida è dunque dare un significato come impresa che sia coerente con valori e purpose individuali di chi ci lavora.
La seconda area è avere una strategia allineata al purpose. Le vere imprese purpose driven o dotate di un deep purpose sono quelle la cui strategia ha come obiettivo ultimo il raggiungimento dello scopo. E per farlo l’impresa deve crescere, espandersi, innovare, sviluppare nuove tecnologie. Avere un deep purpose implica che tutte le priorità sono allineate a questo ultimo scopo.
Terza area, le risorse umane. Qui si entra nel mondo della valutazione delle performance, dello sviluppo dei talenti, di rewarding e della formazione. Un’area che va creata, sviluppata e allineata allo scopo che l’impresa si dà. Infine, una quarta area è il branding e la comunicazione. Avere un deep purpose non significa non comunicarlo. Anzi, il purpose deve riflettersi in tutti i touch point che l’impresa ha con i propri clienti nel client journey. Attenzione però, questa non deve essere l’unica declinazione del purpose.”
In questo scenario, l’intelligenza artificiale ha sicuramente un ruolo centrale nelle dinamiche di organizzazione aziendale. Come influenza il processo di livello di decision making?
“Tutti ci aspettiamo che l’IA possa profondamente modificare come il lavoro viene svolto nelle organizzazioni, la loro produttività, efficienza, capacità di innovare e di inventare nuovi modelli di business. Un’aspettativa validata dal fatto che l’intelligenza artificiale ha dimostrato di superare le capacità dell’uomo in tutta una serie di compiti che beneficiano della grande velocità di elaborazione dei dati di questi algoritmi e della semplificazione che introducono nei processi di inferenza partendo dai dati.
In realtà l’uomo dovrebbe sempre di più valorizzare quelle sue capacità che non possono essere replicate dall’intelligenza artificiale. Parliamo di creatività, di empatia, di capacità di fare le domande giuste, di vedere i problemi da un’altra angolazione. Ma anche nei processi creativi e di innovazione l’intelligenza artificiale può aiutare l’umano a fare meglio.
Il vero paradigma è quello dell’intelligenza collaborativa, e non parlare più separatamente di intelligenza artificiale contro quella umana. Le organizzazioni devono evolvere verso un modello in cui queste due intelligenze davvero si interconnettono, si alimentano e generano benefici a somma positiva in tutte le aree di funzionamento. Inoltre, l’intelligenza artificiale non fa altro che mettere nelle mani di tutti noi strumenti potentissimi per raggiungere degli scopi fino a qualche tempo fa impossibili in tempi così rapidi e con costi ragionevoli.
In un mondo dove l’intelligenza artificiale prenderà sempre più piede nelle organizzazioni, serviranno leader, manager e professionisti che sappiano lavorare con il pathos, che sappiano domandarsi se lo scopo ultimo di un investimento in un’applicazione di IA valga la pena essere perseguito e se sia allineato a ciò in cui l’organizzazione crede. È una lettura sull’IA molto più umana.”