La Svizzera. Il fattore H: essere umani in un mondo in evoluzione 07 Aprile 2025

LEZIONI DAL COVID-19 PER LA RESILIENZA GLOBALE

Intervista a Luigi Maria Terracciano, Rettore di Humanitas University

Sono passati ormai 5 anni dalla pandemia da Covid-19. Un evento inaspettato per la popolazione mondiale, colta forse impreparata ad affrontarla. Oggi abbiamo una consapevolezza e strumenti diversi per rapportarci con il rischio di potenziali nuove pandemie?

“La pandemia da Covid-19 ha messo in luce la vulnerabilità dei sistemi sanitari e l’assenza di una strategia sanitaria comune a livello europeo. La mancanza di coordinamento tra nazioni ha favorito la diffusione del virus e generato insicurezza tra le popolazioni.

L’OMS ha risposto con la strategia PRET – Preparedness and Resilience for Emerging Threats Initiative -, volta a prepararsi a future pandemie, guardando oltre la sanità e coinvolgendo anche altri settori come l’agricoltura. È fondamentale aumentare la sinergia tra stakeholder, creare sistemi equi, esercitarsi congiuntamente e condividere buone pratiche. La cooperazione globale tra Stati è cruciale. Le future strategie devono promuovere collaborazione, politiche unitarie e piani di preparazione sostenibili, con finanziamenti adeguati e monitoraggi costanti. La strategia PRET rappresenta un passo concreto in questa direzione, imparando dagli errori del passato.”

Abbiamo vissuto sulla nostra pelle le ricadute sulla salute mentale delle persone causate dalla pandemia, talvolta vissuta come un vero e proprio trauma. La salute mentale è altrettanto importante?

“La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto significativo sulla salute psicologica ed emotiva, non solo nei pazienti, ma in tutta la popolazione. Uno studio condotto da Humanitas University su 2.400 persone ha evidenziato che il 21% ha riscontrato un peggioramento dei rapporti con il partner, il 13% con i figli, mentre il 50% ha riportato un aumento della fatica lavorativa e il 70% degli studenti ha segnalato un calo di concentrazione nello studio. Durante l’emergenza il 14% degli intervistati ha iniziato a usare ansiolitici o sonniferi, e il 10% antidepressivi, senza precedenti utilizzi. Anche il ricorso al counseling psicologico post-Covid è aumentato sensibilmente, soprattutto tra gli studenti. Questi dati dimostrano che la pandemia non ha solo colpito il sistema immunitario o respiratorio, ma ha avuto un forte impatto sulla salute mentale, sottolineando l’importanza di affrontare anche gli effetti psicologici delle emergenze sanitarie.

Anche la comunicazione, per la comunità scientifica, è fondamentale per fornire una corretta informazione alla cittadinanza. Come migliorarla ai fini di ridurre incertezza e paura da una parte, e far adottare atteggiamenti più consapevoli alle persone? Ricordiamo come durante il Covid-19 abbiamo vissuto un vero e proprio caos informativo, la cosiddetta infodemia.

La pandemia ha trasformato le scelte comunicative, accelerato la digitalizzazione e cambiato la percezione del pubblico, sempre
più proiettato nel ruolo di influencer. È stato registrato un boom di internet, smartphone, social media ed e-commerce, fenomeni che richiedono maggiore consapevolezza nell’interazione con i media. Il Censis ha denominato questo cambiamento con disintermediazione, ovvero la mancanza di figure autorevoli che facciano da ponte tra la verità scientifica e il pubblico. Questa assenza, unita a una scarsa conoscenza del metodo scientifico, ha favorito disinformazione e sfiducia nella scienza, contribuendo alla diffusione di movimenti come i no-vax.

La comunità scientifica, a volte non avvezza alla comunicazione al grande pubblico, che è diversa da quella tra esperti , tende a dialogare al proprio interno, faticando a trasmettere concetti chiari ai non addetti ai lavori. Questo ha lasciato ampie fasce della popolazione indifferenti, insofferenti o apertamente ostili alla cultura scientifica, un problema evidente in contesti socio-culturali come quello italiano. Rafforzare la capacità comunicativa della scienza è cruciale per ricostruire il dialogo con il pubblico.”

Secondo lei è possibile, e come, guadagnare ancora più fiducia nella comunità scientifica nei confronti della popolazione?

“La scienza non ha sempre tutte le risposte. Durante la pandemia, molti comunicatori si sono presentati come depositari di certezze, mentre nei primi mesi si navigava a vista, affrontando un virus sconosciuto e una crisi globale senza precedenti. Non è stata solo la pandemia in sé a creare sfide, ma la sua rapidità, estensione e impatto simultaneo in tutti i paesi. Questa esperienza ha cambiato il modo in cui la comunità scientifica comunica con il pubblico, evidenziando l’importanza di trasparenza e umiltà nel rapporto con la società.”

Abbiamo fatto un passo indietro parlando del Covid, ora parliamo di un altro tema fondamentale per il futuro della medicina e anche quindi del sistema paese: la formazione dei nuovi talenti. Oggi si parla di transdisciplinarità, ci spiega cosa significa?

“Humanitas University pone grande attenzione alla formazione di nuove figure professionali capaci di affrontare le sfide
complesse e multisettoriali della società contemporanea. Questo richiede approcci innovativi e percorsi formativi basati sulla transdisciplinarità, come definita da Jean Piaget: l’assenza di confini stabili tra discipline, con la creazione di nuovi campi che emergono dall’integrazione di diversi background. Un esempio concreto è il corso di laurea Medtec, realizzato dal nostro Ateneo con il Politecnico di Milano, volto a formare una nuova figura di medico con competenze cliniche e un solido background bioinge- gneristico. Questo approccio riflette l’impatto crescente della tecnologia sulla medicina e rappresenta un modello per il futuro, adottato anche da realtà come il Politecnico federale di Zurigo.

L’ibridazione tra discipline diverse non solo arricchisce le competenze ma favorisce la nascita di professionisti innovativi, in grado di operare in contesti complessi e in continua evoluzione. O ancora il Master of Science in Data Analysis and Artificial Intelligence in Health Science che abbiamo appena presentato insieme a Bocconi University e che preparerà le nuove figure professionali che l’uso dell’AI nel mondo della salute richiede già da oggi.”

Cosa abbiamo imparato da questi anni difficili?

“La pandemia ci ha insegnato l’importanza dell’innovazione, della transdisciplinarità e di un approccio olistico, come dimostrano i progetti dell’OMS che coinvolgono trasversalmente diversi settori. Un’altra lezione fondamentale è la necessità di cooperazione tra sanità pubblica e industria privata. Il successo nello sviluppo del vaccino per il Covid-19 è stato possibile grazie a questa sinergia: la ricerca scientifica è stata portata avanti grazie ad una collaborazione virtuosa tra istituzioni pubbliche ed aziende private mentre le case farmaceutiche si sono occupate della produzione e distribuzione su larga scala. Questa esperienza evidenzia quanto sia cruciale integrare e far incontrare i due mondi pubblico e privato per affrontare le sfide globali che ci aspettano.”dr


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