A cura di Rӧdl & Partner
L’evoluzione dell’intelligenza artificiale rappresenta oggi una delle più importanti trasformazioni nell’ambiente del lavoro moderno. La rapidità con cui questa tecnologia si sviluppa solleva interrogativi cruciali: quanto dovrebbe essere centrale l’AI nelle nostre vite lavorative? Andiamo verso un futuro in cui la tecnologia, in modo progressivo, sostituirà l’uomo? Potrebbe, potenzialmente. Ma la vera risposta, per quanto complesso possa risultare il processo evoluzionistico, potrebbe essere sintetizzata e anticipata con un chiaro no. Tutto ciò, solo se le aziende riusciranno ad investire sulla formazione dei lavoratori: upskilling e reskilling sono, in questo senso, indispensabili per mantenere i lavoratori all’avanguardia rispetto alle evoluzioni del mercato, elementi che possono in un certo senso “difendere”, quindi, dalla non remota possibilità di dover recidere posti di lavoro.
L’AI non è però, come erroneamente si pensa, uno strumento perfetto. Con riferimento al contesto lavorativo, nell’utilizzo di que- sti strumenti le aziende devono agire con estrema cautela, affidandosi fedelmente al dettato della Costituzione: tra gli armoniosi articoli della Carta, è importante qui richiamare l’articolo 41, che recita “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svol- gersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In un sistema di diritto, l’AI non può quindi avere una centralità che comprometta la dignità e il valore umano. Questo aspetto si rivela cruciale non solo per la competitività, ma anche per garantire che la forza lavoro mantenga un ruolo attivo, creativo e consapevole.
Sono gli stessi lavoratori a percepire come esigenza la formazione e, al tempo stesso, l’approccio valoriale nei rapporti lavorativi, dando fondamentale importanza alla work-life balance. Secondo un’indagine condotta da Randstad1 su oltre 30 Paesi, volta a monitorare le aspettative dei lavoratori, emerge che il 94% degli intervistati considera fondamentale l’equilibrio tra vita e lavoro, mentre il 69% ritiene importante che i valori – come sostenibilità, diversità e trasparenza – del datore di lavoro siano in linea con i propri. Inoltre, il 62% degli intervistati rifiuterebbe un impiego che non garantisca sicurezza a lungo termine, e il 51% non accetterebbe una posizione che potrebbe influire negativamente sul proprio equilibrio vita-lavoro.
In particolare, alla domanda “Se il datore di lavoro le proponesse un’opportunità di apprendimento, quale sceglierebbe?” la formazione sull’AI è risultata essere la più ambita. Questo indica come la possibilità di apprendere e utilizzare nuove tecnologie, dando al contempo centralità all’uomo ed alla sua vita fuori dal contesto lavorativo, sia un fattore attrattivo sia per la retention dei talenti sia per il branding aziendale.
Nonostante i benefici, l’utilizzo dell’AI espone dunque le aziende a rischi concreti, soprattutto sul piano della compliance nor- mativa e della trasparenza. Basti pensare ai processi di reclutamento: l’uso di strumenti di AI nei processi di selezione può generare situazioni di discriminazione, spesso non intenzionali. Algoritmi non ben addestrati o biased rischiano di escludere candidati in base a criteri non pertinenti, come sesso, etnia o età, violando principi fondamentali di uguaglianza e inclusione. Oppure, pen- siamo all’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, c.d. Statuto dei lavoratori, concernente i controlli a distanza: l’AI deve essere impiegata rispettando il diritto alla privacy e alla dignità del lavoratore, evitando che lo strumento di controllo, utilizzato per declinare nel miglior modo possibile il potere datoriale, venga utilizzato in modo eccessivo e non consentito dalla legge.
Inoltre, data protection e cybersecurity rappresentano, in questo contesto, due pilastri imprescindibili per tutelare sia la reputa- zione aziendale, sia la sicurezza stessa dei lavoratori. L’uso improprio delle tecnologie avanzate può infatti danneggiare l’im- magine dell’azienda e mettere a rischio la fiducia dei dipendenti. Esempi recenti nel panorama giuridico mostrano i pericoli di truffe tramite deepfake o manipolazioni informatiche che ingannano tanto i datori quanto i dipendenti, con impatti devastanti sia dal punto di vista economico sia umano. Proteggere i dati sensibili dei lavoratori e mantenere sistemi sicuri non è solo una necessità normativa, ma rappresenta anche un elemento chiave per costruire un ambiente di lavoro sicuro e produttivo. La diretta conseguenza dell’avvento di queste nuove tecnologie è, e deve essere, l’assunzione di un serio impegno volto a eliminare eventuali bias e a promuovere l’inclusività. Questo richiede un lavoro attento nell’addestramento e nella supervisione degli algoritmi, evitando che questi riflettano e amplifichino pregiudizi sociali esistenti. La tecnologia deve essere uno strumento di supporto, non un ostacolo alle pari opportunità. In questa prospettiva, l’AI può essere un potente alleato se arricchita da input positivi e valori che rispettino i diritti di ciascun individuo. Sebbene l’AI offra strumenti potenti per ottimizzare e innovare il business, l’uomo resta e deve restare al centro. Le aziende devono garantire, grazie ad una corretta applicazione del principio di accountability, che l’uso della tecnologia sia subordinato a una costruzione valoriale che metta al primo posto il rispetto e la dignità umana. Solo con una governance responsabile e con un approccio risk based, supportati da un forte impegno in termini di formazione continua e di rispetto delle normative, sarà possibile sfruttare al meglio le potenzialità dell’AI senza compromettere i principi fondanti della nostra società.