Intervista a Eliana Viviano, Capo della Divisione Mercato del Lavoro del
Dipartimento di Economia e Ricerca della Banca d’Italia
Partiamo proprio dal mercato del lavoro, parlando di occupazione e del costo del lavoro. A ormai cinque anni di distanza dalla pandemia, qual è la situazione oggi? Ma soprattutto, come è cambiato rispetto al mondo pre-Covid?
“Rispetto al 2019 il numero di occupati in Italia è aumentato del 3,8% (circa 870 mila in più): si tratta di un traguardo importante che è stato favorito da molteplici fattori, che in buona parte possiamo rintracciare anche nelle altre principali economie dell’area dell’euro. Il principale è l’evoluzione della demografia e l’allungamento della vita lavorativa deter- minato dalle passate riforme pensionistiche. Nella media del 2024 i lavoratori con almeno 50 anni erano oltre un milione e centomila in più rispetto al 2019; al contempo sono diminuiti i lavoratori nelle fasce centrali d’età. Attualmente quindi il principale motore di cambiamento del mercato del lavoro italiano è la demografia, non la pandemia.
Tuttavia, quell’evento traumatico ha lasciato un’importante eredità: il lavoro da remoto. Prima della pandemia questa modalità di lavoro, che ha avuto una spinta significativa durante il lockdown, ha comportato che i lavoratori che svolgono parte della propria prestazione lavorativa da casa sia passata da circa il 2% nel 2019 al 12% nel 2023. Ancora oggi non sappiamo quali siano gli impatti del lavoro da remoto sulla produttività del lavoro a lungo termine o su altri aspetti fondamentali della vita lavorativa quali la gestione del tempo o il rischio di solitudine professionale. Tuttavia, il lavoro da remoto consente una notevole flessibilità a chi ha difficoltà a conciliare la vita lavorativa e quella familiare e a chi preferisce vivere in aree più periferiche o lontano dai grandi
centri urbani. Consente inoltre alle imprese, sempre a caccia di lavoratori qualificati, di poter assumere anche lavoratori che risiedono lontano dalla sede fisica dell’impresa, alleviando così le carenze strutturali di alcune figure professionali. Penso che questo elemento possa avere un impatto positivo sulla produttività sia delle imprese sia a livello aggregato. Quanto al costo del lavoro, direi che la sua dinamica nel periodo post-Covid è stata alquanto moderata in termini reali.”
Grande agente trasformatore è, chiaramente, anche la tecnologia. Qual è l’impatto delle nuove tecnologie e del digitale sulla domanda e sull’organizzazione del lavoro?
“Indubbiamente la tecnologia è un motore di grande cambiamento. La diffusione del lavoro da remoto, di cui ho appena parlato, ne è una prova. Se guardiamo alla domanda di lavoro, gli occupati nel settore ICT in Italia tra il 2019 e il 2023 sono aumentati del 10%. Ma gli ICT specialist sono molto richiesti anche in altri servizi avanzati alle imprese e nella finanza. Anche in tal caso si tratta di tendenze riscontrabili negli altri paesi dell’area dell’euro. Gli studi empirici, alcuni dei quali condotti in Banca d’Italia, mostrano che l’adozione di tecnologie nei processi produttivi, come ad esempio la progressiva robotizzazione della manifattura italiana dagli anni Novanta, non ha comportato una riduzione dell’occupazione; nelle imprese che hanno adottato queste tecnologie si è anche registrata una dinamica salariale relativamente migliore della media. In generale però quando si parla di tecnologia bisogna tenere presente che i suoi impatti si manifestano gradualmente e che diventano visibili solo nel lungo periodo.”
Particolare attenzione merita anche l’intelligenza artificiale generativa, ormai diffusa nelle organizzazioni. Come rimodella i processi aziendali? E quanto bisogna essere attenti affinché l’uomo non sia vittima bensì padrone di queste trasformazioni?
“Sappiamo ancora poco del possibile impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro e sulle imprese. Da un lato ci si può aspettare che l’IA sia un tipo di tecnologia che stimolerà presto altre innovazioni, per la grande quantità di informazioni che riesce a elaborare in tempi sbalorditivi. Dall’altro, potrebbe qualificarsi come una general purpose technology, cioè ad esempio come l’elettricità, che dalla sua introduzione ha via via permeato il nostro modo di produrre e di consumare ma i cui effetti sul sistema produttivo si sono visti circa 30 anni dopo la sua introduzione.
Comunque sia, tra gli economisti c’è accordo sul fatto che l’IA interesserà anche professioni poco toccate dalle innovazioni tecnologiche precedenti (come la robotizzazione), sia perché l’IA è in grado di svolgere anche compiti ‘complessi’, dove cioè non è necessario specificare in maniera chiara i comandi che poi la macchina deve svolgere, sia perché è possibile che grazie all’IA alcune professioni diventino in grado di svolgere compiti che prima non sarebbero state in grado di fare: è quindi probabile che la domanda di lavoro e di competenze in futuro sarà diversa rispetto a oggi. Secondo uno studio di alcuni colleghi della Banca d’Italia che si basa sulle mansioni attualmente svolte dai lavoratori italiani, 1 lavoratore su 5 in Italia svolge una professione con un rischio di sostituzione relativamente alto. L’effettiva sostituzione dei lavoratori dipenderà però da come l’IA verrà adottata dalle imprese e da come i lavoratori sapranno adattarsi, eventualmente spostandosi su altre occupazioni meno esposte o complementari alla tecnologia.”
Parliamo infine di welfare, politiche sociali e contrasto alla povertà, fondamentali oggi in questo mondo che cambia così rapidamente con il rischio di lasciare indietro molte persone. Quali sono allora gli investimenti in capitale umano da fare? E qual è l’impatto del sistema educativo sul capitale umano e sull’economia?
“Il capitale umano è una determinante fondamentale del benessere individuale: una dotazione più elevata di capitale umano si riflette in redditi più elevati, un migliore stato di salute, una maggiore partecipazione alla vita della propria comunità. Anche a livello macro-economico esiste una relazione positiva tra dotazione di capitale umano di un paese, innovazione e crescita. Le trasformazioni strutturali che hanno modificato la società negli ultimi decenni – tra cui lo sviluppo delle tecnologie digitali e l’IA – premiano il possesso di competenze elevate; l’allungamento della vita lavorativa – necessario per contenere gli effetti dell’invecchiamento della popolazione – ne richiede il continuo aggiornamento. Nel confronto internazionale il ritardo dell’Italia nella dotazione di capitale umano è ancora ampio. Nel 2023 solo circa un quinto degli adulti tra i 25 e i 64 anni possedeva un titolo di istruzione terziaria, contro più di un terzo nella media dell’area dell’euro. Le competenze degli adulti, misurate da un’indagine internazionale dell’OCSE attraverso il Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC), sono tra le più basse registrate nei paesi partecipanti. Vi sono per fortuna segnali di miglioramento nelle coorti più giovani, con riferimento agli abbandoni scolastici e alle indagini sulle competenze, ambiti nei quali i divari rispetto alla media europea si stanno riducendo.”
Come altre grandi sfide del mercato del lavoro, le politiche da attuare riguardano più ambiti. Per innalzare la quantità, misurata dagli anni di istruzione e la qualità, misurata dalle competenze del capitale umano occorre un mix di azioni: infrastrutture scolastiche adeguate, sia fisiche sia digitali; un sistema di selezione e formazione dei docenti che ne rico- nosca l’importante funzione sociale, valorizzi il merito e promuova l’aggiornamento delle competenze; curricula che favoriscano l’apprendimento di conoscenze non solo disciplinari ma anche di abilità trasversali per fornire agli studenti gli strumenti per affrontare sfide e problemi nuovi; politiche di sostegno al diritto allo studio che attenuino le disparità di opportunità formative che ancora oggi dipendono dal background socio-economico; un sistema articolato di istruzione post-secondaria che, oltre ai percorsi terziari, offra anche una formazione tecnica superiore di qualità.