La Svizzera. Il fattore H: essere umani in un mondo in evoluzione 07 Aprile 2025

L'EUROPA E L'IA: TRA REGOLAMENTAZIONE ED ETICA

Intervista ad Andrea Renda, Professore di Diritto e Politiche Digitali presso
l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole e Direttore presso il Centre for European Policy Studies (CEPS)

Qual è lo stato di avanzamento, soprattutto nel contesto europeo, del diritto digitale?

“Il diritto digitale è nato con un approccio permissivo, basato sul principio di neutralità della rete e sull’assenza di responsabilità degli intermediari digitali. Negli anni ‘90, Stati Uniti ed Europa adottarono normative come il Telecommunications Act (1996) e la Direttiva sul commercio elettronico (2000), che favorirono l’ascesa di colossi come Google e Amazon, anche perché esenti da qualsiasi responsabilità per il traffico che facevano muovere sulla rete, traendone immenso guadagno. Tuttavia, con il tempo, i limiti di questo sistema sono emersi: i grandi intermediari hanno iniziato a sfruttare i dati personali per enormi profitti, concentrando oltremodo il mercato. Dal 2018, l’UE ha iniziato a reagire con normative come il GDPR e più di recente il Digital Services Act e il Digital Markets Act, mirate a limitare il potere delle big tech, regolamentare i flussi di dati e promuovere l’innovazione. Tuttavia, problemi di coerenza e implementazione creano difficoltà e oneri per le imprese. Il 90% dei dati europei resta in mano a poche aziende americane, il che solleva dubbi sulla sovranità tecnologica e sull’efficacia delle politiche UE, che scontano ancora l’immensa asimmetria informativa tra regolatori e giganti della tecnologia.”

Quanto è difficile regolare qualcosa di nuovo sapendo che poi la tecnologia corre molto più veloce del legislatore e dei soggetti regolatori?

“Siamo di fronte a una versione ancor più estrema del ‛famoso paradosso del moto’ di Zenone di Elea. Qui è la tartaruga legislativa che insegue l’Achille tecnologico. Per essere efficaci, le normative devono prevedere dove la tecnologia sarà in futuro, adottando un approccio basato su principi flessibili piuttosto che su regole prescrittive e rigide. Questo richiede autorità capaci di adattare le norme di legge nel tempo, seguendo l’evoluzione tecnologica, e questo richiede approcci flessibili e agili, che i nostri regolatori tipicamente conoscono ben poco.

Se ben implementato, l’approccio della regolazione adattiva prolunga l’efficacia delle norme. Vedremo se sarà il caso della nuova legge europea sull’intelligenza artificiale, l’AI Act, che prevede un’agenzia specifica creata all’interno della Commissione europea per può gestire i rischi emergenti e definire standard tecnologici in linea con obiettivi regolatori. Qui il legislatore dovrà combinare velocità e certezza del diritto, promuovendo una governance flessibile e partecipata. L’integrazione degli obiettivi regolatori negli standard tecnologici deve orientare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale verso soluzioni antropocentriche, e un design che tenga conto di questi principi può ridurre il bisogno di controlli ex post.”

Quali sono le sfide etiche e politiche e di governance dell’IA?

“La riflessione europea sull’IA è iniziata nel 2019, con la pubblicazione delle linee guida sull’intelligenza artificiale affidabile che richiedono conformità legale, robustezza e principi etici, base poi per l’AI Act. L’intelligenza artificiale seppur potente non è ‘intelligente’ e dipende dai dati, rischiando discriminazioni, limitazioni della libertà di espressione (ad esempio la moderazione algoritmica dei contenuti) e violazioni di altri diritti fondamentali. Deve essere trasparente, equa e orientata al benessere sociale e ambientale, affrontando anche l’impatto energetico. L’IA solleva tensioni etiche poiché permea la nostra società, l’economia e la vita politica. Cina, USA e altri leader hanno compreso già da diversi anni che il controllo dell’IA significa potere globale. Questa competizione non fa che ampliare il divario tra il nord globale, che sviluppa i sistemi di IA, e il sud globale, dove tali tecnologie non vengono prodotte ma solo ‘consumate’. Inoltre, l’uso bellico dell’IA (ad esempio, i droni o le armi autonome utilizzate nella guerra in Ucraina) accresce i rischi per sicurezza e autonomia strategica, rendendo la competizione tecnologica una lotta geopolitica con conseguenze globali.”

Bisogna attribuire responsabilità a chi genera questo tipo di tecnologie?

“Non lo stiamo facendo per due motivi. Il primo è che l’AI Act è unico al mondo, è l’unica normativa vincolante sull’intelligenza artificiale, mentre altri paesi, come Canada, Brasile o Corea del Sud, non hanno ancora leggi cogenti, e gli Stati Uniti hanno fatto dietrofront sull’esigua e timida regolazione che avevano sin qui posto in essere. Lo stesso AI Act, fino al febbraio 2023, non regolava i sistemi più potenti, come ChatGPT, Gemini o Claude, concentrandosi solo su applicazioni specifiche e ad alto rischio. Questo approccio lasciava fuori i creatori di tali sistemi, come OpenAI, e regolava solo le imprese che li utilizzavano per applicazioni di mercato.

Con l’arrivo di questi strumenti generativi, l’AI Act è stato integrato negli ultimi mesi di negoziazioni (febbraio-giugno 2023) per includere regole sui sistemi più avanzati. Tuttavia, la sua implementazione è ancora incerta e basata su un code of practice che rappresenta più una dichiarazione di intenti (soft law) che una normativa vincolante (hard law). Il secondo motivo è la mancanza di regolazione militare. Nessun Paese sta facendo progressi significativi nella responsabilità sull’uso di armi autonome. La competizione globale, caratterizzata da sfiducia reciproca, impedisce qualsiasi passo avanti su questo fronte.

L’Unione Europea è l’unico blocco che tenta di regolare anche i sistemi più avanzati di intelligenza artificiale, ma l’efficacia di questa normativa resta da dimostrare. Altrove, domina una competizione al ribasso sull’etica: gli Stati Uniti privilegiano l’innovazione, spinti dalla rivalità con la Cina e dall’influenza globale delle loro aziende tecnologiche, che agiscono come strumento di soft e hard power, imponendo condizioni ovunque operino. In sintesi, mentre l’Europa cerca un equilibrio tra etica e regolamentazione, il resto del mondo privilegia innovazione e competizione geopolitica, con implicazioni ancora tutte da definire.”

Oggi possiamo parlare di un’economia digitale?

“Bisogna distinguere tra due tipi di economia digitale. La prima è quella basata sul cyberspazio, dove giganti come Amazon e Google dominano oltre metà delle transazioni commerciali, creando un problema di concentrazione di potere nel settore business-to-consumer. La seconda riguarda la digitalizzazione delle catene del valore e delle filiere, come nell’industria automotive, dove ad esempio tre quarti del valore di un’auto è ormai legato al software e ai dati che questo produce, non alla parte meccanica. Questi dati, però, finiscono spesso nei cloud di colossi tecnologici come Amazon e Microsoft, piuttosto che rimanere nelle mani dei produttori industriali europei. Questa perdita di controllo è una preoccupazione giustificata, già sollevata anni fa da Thierry Breton che propose una strategia per proteggere i dati europei attraverso la creazione di data spaces. Tuttavia, i progressi sono stati limitati e come evidenziato anche dal rapporto Draghi, l’Europa rischia di diventare una colonia digitale degli Stati Uniti, incapace di sviluppare un’economia autonoma.

L’attuale economia digitale è malata: soffre di concentrazione di potere, violazioni dei diritti dei consumatori e un trasferimento di valore e dati dall’economia reale ai giganti tecnologici. Questo squilibrio non solo riduce la competitività europea, ma avvia una spirale al ribasso sui diritti e sull’autonomia economica globale. Per un futuro sostenibile, serve un’economia digitale che trattenga valore e potere dove viene generato, evitando che poche imprese, sempre più potenti, catturino ricchezza e influenzino anche la politica globale.”

Secondo lei che cosa serve?

“Serve un’Europa più forte e determinata, in grado di capire che deve consolidare la propria legislazione e la propria capacità di fare industria e innovazione nel continente europeo, quindi completando tutte le fasi della filiera che sono necessarie per avere una propria indipendenza digitale. L’Europa deve avere la forza di chi sa essere aperto e orientato a generare valore fuori dal continente. L’Europa non può sopravvivere alla competizione digitale se non offre soluzioni non solo a livello locale ma anche al di fuori dei propri confini, come all’Africa, all’America Latina e altri paesi meno sviluppati che sono ogni giorno più orfani del supporto statunitense. Serve qualcuno di sufficientemente lungimirante da capire che l’Europa deve non soltanto brillare se guardata da dentro, ma risplendere anche se guardata da fuori.”

Swiss Chamber

Camera di commercio Svizzera in Italia

P.iva 02244750150

Via Palestro 2, 20121 Milano Apri mappa

+39 02.76.32.03.1

+39 02.70.10.84

info@swisschamber.it

Vuoi diventare Socio?

Consulenza amministrativa, finanziaria e legale, servizi di marketing mirati: il nostro know how al servizio dei tuoi rapporti commerciali

Hai delle domande o ti servono informazioni?

Lascia i tuoi dati e scrivici

Grazie per aver scelto Swiss Chamber.

Sarete ricontattati al più presto.

Ci scusiamo, si è verificato un problema.

Swisschamber, Camera di Commercio Svizzera in Italia con sede nel centro di Milano in Via Palestro, 2, 20121 Milano MI (siamo facilmente raggiungibili da Cologno, Sesto, Cinisello e Monza con la metropolitana M1 e M3 e da tutto l'hinterland di Milano). Swisschamber è il luogo ideale per trovare le migliori aziende partner svizzere e italiane e per risolvere questioni legali, fiscali, commerciali e informative su società svizzere e da camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura italiane. Inoltre ci occupiamo di marketing e di comunicazione di ogni tipo tra Italia e Svizzera. Affittiamo location per riunioni, convegni ed eventi aziendali per l'intera giornata o per mezza giornata. Offriamo diversi servizi business personalizzati tra cui quelli relativi le visure camerali. Vieni a trovarci: non perderti i nostri eventi in presenza, ibridi o totalmente da remoto a modalità phygital. Non esitare a contattarci al numero 02 7632031 per ottenere maggiori informazioni su preventivi, prezzi, consulenze personalizzate e per conoscere e valutare i mercati oltre frontiera. Saremo lieti di offrirti consigli su come scegliere il servizio più adatto o la location più vicina a te.