Intervista a Riccardo Di Stefano, Delegato Confindustria per l’Education e l’Open Innovation
Partiamo dall’ambito education. Scuola, formazione, lavoro è ancora un sentiero obbligato? Oppure oggi esistono percorsi diversi o, addirittura, possiamo dire che non si smette mai di imparare?
“Un sentiero obbligato può essere di due tipi: chiuso e con un solo sbocco possibile, oppure ‘panoramico’ e integrato in uno spazio più ampio e vario. Ecco l’education per tempi come questi, caratterizzati da un profondo cambiamento tecnologico e direi anche antropologico, deve essere comunque un percorso che tutti devono fare ma che va portato avanti con, questo sì un obbligo, l’obiettivo di sviluppare un’attitudine fondamentale: imparare a imparare.
Questa attitudine, che percorsi scolastici ‘formali’ devono aiutare a formare attraverso una maggiore apertura ai territori, alle imprese, alle forze socio-economiche, può garantire soprattutto a un giovane la possibilità di gestire e non subire il cambiamento. È chiaro che con questa attitudine uno studente che oggi è a scuola farà, un domani da lavoratore, meno fatica ad aggiornarsi e a formarsi costantemente. Nelle policy educative di Confindustria, proprio per questo motivo, lavoriamo sia per i più giovani che sono ancora nelle scuole, negli ITS e nelle università; così come per i lavoratori adulti che sono inseriti in quella che si chiama for- mazione continua.”
Il mondo imprenditoriale è anche punto di incontro tra giovani e senior. Cosa può nascere da questo scambio di idee ed esperienze? Qual è il valore aggiunto nel modo di fare impresa?
“L’incontro tra giovani studenti e lavoratori adulti è fondamentale e le imprese hanno un chiaro ruolo di ponte. Penso soprattutto a quanto sta avvenendo negli ITS Academy, gli Istituti tecnologici superiori che, tra l’altro, nascono da modelli virtuosi come le Scuole universitarie professionali svizzere (SUP). Negli ITS Academy il 73% dei docenti proviene dal mondo dell’impresa: sono manager, lavoratori, professionisti che trasmettono il loro know-how e la loro esperienza, creando un dialogo intergenerazionale che è sempre più complicato in un contesto iper-tecnologico, ma che diventa fondamentale.
È nel ponte tra generazioni diverse che si crea non soltanto un capitale umano di qualità, ma cittadini attivi che si riconoscono e sanno stare insieme. Quindi proprio da questi percorsi di formazione può nascere una società che riesca, nel contempo, a essere più competitiva ma anche solidale, perché formata per lavorare insieme. In impresa questo valore aggiunto è già arrivato: non è per niente inusuale vedere giovanissimi under 30 ‘spiegare’ agli over 50 il funzionamento dei dispositivi tecnologici e, viceversa, questi ultimi trasferiscono ai più giovani la storia delle nostre imprese che è fondamentale se vogliamo avere un futuro. D’altronde l’industria italiana è sempre stata una sintesi tra tradizione e innovazione e il dialogo tra generazioni non può che affermarla ancora di più.”
Ha parlato di un fondo europeo per l’intelligenza artificiale. In cosa consiste?
“L’intelligenza artificiale sta cambiando profondamente il nostro modo di vivere e di produrre. Se ne vedono già i primi segni, ma ancora di più se ne vedranno in futuro.
I grandi player mondiali si stanno sfidando su questa tecnologia e proprio per questo l’Europa è, per noi Italia, lo spazio in cui giocare questa partita. Servono però risorse, ad oggi l’Europa spende solo un miliardo all’anno in ricerca sull’intelligenza artificiale. È troppo poco rispetto ai 50 degli USA e ai 10 della Cina. Per questo serve un fondo europeo per raccogliere investimenti pubblici e privati. Lo immagino come uno strumento finanziario e di incontro fra produttori e utilizzatori di tecnologie, ovvero istituzioni, grandi industrie, PMI e startup, in una logica di open innovation che è vantaggiosa per tutte le organizzazioni che collaborano. Investimenti di questo tipo ‘ripagano’ subito con produzioni ad alto tasso di innovazione che chiameranno posti di lavoro di qualità e ad alto reddito.”
Lei ha più volte sottolineato la necessità per l’Italia di non rimanere indietro sul fronte dell’innovazione in ambito tecno- logico. Perché?
“L’Italia notoriamente non ha materie prime e subisce spesso i vari scossoni del mercato energetico mondiale, così come quello delle materie prime. Soltanto investendo in tecnologie e in innovazione di processo riusciamo a restare competitivi in un contesto così complicato. Sono tantissimi gli esempi di aziende italiane, anche piccole, che si sono ricollocate nel mercato puntando tutto su una profonda innovazione, sostenuta, tra l’altro, da un aumento dell’attrattività nei confronti di giovani competenti che, in un ambiente innovativo, hanno un valore aggiunto ancora più forte.
Lo abbiamo visto con l’esperienza dei dottorati industriali in cui imprese e università concorrono alla formazione di un giovane ricercatore che riconosce, in entrambi questi ambienti, degli spazi ottimali per portare avanti la sua ricerca anche in chiave di valore economico. Dobbiamo mettere tutte le imprese nella condizione di poter accedere all’innovazione, ecco perché in Confindustria è nato il Gruppo Tecnico Open Innovation che ho l’onore di presiedere e che sono sicuro darà un grande contributo al dibattito nel Paese.”